Partiamo dal Grand Canyon Village verso le otto, la tappa odierna è piuttosto lunga, 460 chilometri ci separano dalla prossima meta, Las Vegas, la città più assurda del mondo!
Imbocchiamo la US-180 verso sud e procediamo fino a Williams, dove prendiamo la più veloce I-40 verso Kingman. A Seligman però usciamo dall’interstate per percorrere un bel tratto della Historic Route 66 fino a Kingman.
La US-66, detta anche The Mother Road, è una vecchia gloria: collega Chicago con Los Angeles attraversando gli Stati Uniti da nord-est a sud-ovest. In realtà non si tratta di un vero coast to coast, in quanto Chicago, punto di partenza della Route 66, è ben lontano dall’Atlantico, inoltre non è nemmeno la più antica nel suo genere, visto che la Lincoln, che abbiamo percorso a tratti nella parte iniziale del nostro viaggio, è stata realizzata prima della 66 e inoltre è stata la prima strada a collegare i due oceani negli anni venti, quando l’unico modo per andare da New York City a San Francisco era prendere il treno.
Nonostante tutte queste precisazioni, la Route 66 ha un fascino enorme per gli americani ed è stata recuperata per il turismo nostalgico degli appassionati di Kerouac, delle Harley Davidson ed in genere del West e della Frontiera, rispolverando vecchie stazioni di servizio, motel anni ’50, roadhouse e saloon che sembrano usciti da un film. Nel tratto che percorriamo noi notiamo anche tanto abbandono, segno inequivocabile del passare del tempo: oggi chi deve viaggiare in fretta sfreccia sulle velocissime Interstate, solo i turisti e i nostalgici della vecchia America percorrono questi territori.
Seligman sembra uscita da un vecchio film in bianco e nero, ogni angolo di stata trasuda di passato ed è un piacere attraversarla a passo d’uomo per ammirare le vecchie Cadillac scintillanti esposte di fronte ad un negozio come un trofeo.
Poco prima di Kingman ci fermiamo in una stazione di servizio degli anni cinquanta che è stata restaurata e trasformata in un museo, con una magnifica corvette cabrio rossa esposta sotto il porticato d’ingresso a fianco delle vecchie pompe di benzina, i cartelli segnalatori della US-66, delle sedie a dondolo e altre glorie del passato. All’interno, oltre all’immancabile negozio di souvenir, la riproduzione fedele di un pub degli anni cinquanta, con immagini a grandezza naturale di Elvis e Marilyn. Eravamo già stati qui nel 2003, in occasione del nostro primo viaggio negli States, quando avevamo percorso un itinerario ad anello in camper attraverso il southwest. Oggi vediamo che nulla è cambiato: la corvette è ancora al suo posto, così come Elvis e Marilyn. Noi invece siamo invecchiati di un decennio e nostro figlio, che allora era un orsacchiotto di tre anni e mezzo, ora è un ragazzo con i primi accenni di barba che guarda con sufficienza queste chincaglierie ammuffite.
Giunti a Kingman facciamo una sosta da McDonald dove ingurgitiamo grassi saturi e calorie a sproposito e riprendiamo la strada percorrendo la US-93 verso nord fino a Boulder e poi a Las Vegas.
L’entrata nelle metropoli è sempre difficile, ma con i mezzi a nostra disposizione è un gioco da ragazzi: il navigatore satellitare ci guida passo passo mentre Silvia, iPad alla mano, verifica istante per istante la nostra posizione e fa le pulci al navigatore. Io mi limito a guidare seguendo le istruzioni e presto siamo arrivati.
Il nostro hotel si chiama Circus Circus e il nome è tutto un programma: l’ingresso è un enorme tendone da circo e le dimensioni sono a dir poco gigantesche, basti solo dire che all’interno dell’albergo, oltre a distese interminabili di slot machine e sale da gioco, vi è un intero luna park con tanto di montagne russe!
Dopo esserci sistemati, andiamo a gironzolare per la città-albergo e Dario approfitta del luna park per prendersi qualche soddisfazione adatta alla sua età. Curiosiamo anche nella zona delle slot machine e dei tavoli da gioco, la tentazione di puntare qualcosa è forte: tutte le quelle luci sfavillanti e quella gente intenta a dilapidare i propri risparmi, fa sembrare il gioco una cosa normale, necessaria.
Ceniamo con pizza (buona) e Pepsi e quindi usciamo per ammirare lo spettacolo di Vegas by night. Passeggiare con il buio lungo il Las Vegas Boulevard, comunemente detto Strip, è veramente una cosa folle: in mezzo ad un deserto dove sopravvivere sarebbe già un successo, questi folli americani hanno costruito il tempio del divertimento più sfrenato, con una quantità di cattivo gusto talmente elevata da farlo elevare a originalità e stravaganza. Ma assieme alle riproduzioni fedeli del campanile di San Marco, del Ponte di Rialto e della Tour Eiffel, vi sono anche edifici contemporanei in vetro e acciaio veramente notevoli.
Ciò che più sconvolge la mente è l’idea di essere in mezzo ad un deserto dove, in base alle leggi naturali, le uniche forme di vita dovrebbero essere insetti, rettili e piccoli roditori. Ebbene qui invece all’uomo tutto è concesso: si può mangiare qualsiasi cosa, dal sushi ai frutti tropicali, si può sorseggiare un cocktail all’aperto immersi in una nuvola di aria condizionata, ci si può sposare con 100 dollari, cerimonia e festa di nozze comprese o, se si preferisce, con la stessa cifra ci si può portare in camera due ragazze (lungo lo strip ti danno dei “santini” con le immagini delle escort, basta scegliere e comporre un numero telefonico). Il tutto in un tripudio di luci, giochi d’acqua, fuochi d’artificio, musica, che stordiscono i sensi e ottenebrano la mente.
Siamo sfiniti, abbiamo percorso a piedi i quattro chilometri più folli del mondo e per tornare il albergo ci prendiamo un taxi. Domani si torna sulla terra, anzi, sotto terra, perché la Death Valley è al di sotto del livello del mare.